70. La moneta per l'aldilà ♦

70. La moneta per l'aldilà ♦ (1° novembre 1957)17 

 PRIMO MAZZOLARI, Discorsi, EDB, 2006, pp.385ss 

 Miei cari bozzolesi, questa mattina a due giovani, che facevano la loro richiesta di matrimonio, ho chiesto se non erano mai stati all'estero: è una delle tante domande del formulario. Mi hanno risposto di no. Se sono qui nel cimitero, io vorrei dire: «All'estero siamo». Non si chiama l'altro mondo? Quando uno muore, si dice: «È andato all'altro mondo». E, allora, miei cari fratelli, abbiamo varcato una soglia, una frontiera. Sono delle parole che forse non suonano troppo benevolmente al nostro cuore: varcare una frontiera di un mondo che non conosciamo, di un mondo che qualcheduno potrebbe anche chiedersi se veramente c'è. Io non voglio domandarmi, questa sera, miei cari fratelli, se veramente abbiamo varcato, venendo sul cimitero, la frontiera di un altro mondo. Se questo mondo c'è, che cosa rappresenta? Io vi lascio nella vostra incredulità, se ci siete, vi lascio nella vostra incertezza, se ci siete; vi lascio anche nella vostra negatività completa, se ci siete. Ognuno vede come può, ragiona come può, sente come può. Però io gli vorrei chiedere se non ha provato un brivido, entrando in quest'altro mondo, sulla soglia di questo mistero che si chiama la morte. È vero che noi non abbiamo visto niente di quest'altro mondo, è vero che noi non sappiamo niente di quest'altro mondo, se non quello che ci rivela la fede, è vero che possiamo anche dubitarne... e forse qualcheduno di voi ne dubita anche in questo momento. Però veda egli nella sua anima se veramente è tranquillo, se niente ha provato nel cuore, uno di quei brividi che, anche quando non si vogliono sentire, fanno sentire fremere l'anima, perché ricordatevi che la morte non può lasciare indifferente nessuno. Anzi, chi nega l'altro mondo e ha sentito o crede di non aver sentito nessun trapasso, varcando questa frontiera dell'altro mondo, forse fa fatica a rimanere in questo mondo di mistero più di coloro che credono. E, allora, se abbiamo varcato la frontiera di un altro mondo, se siamo arrivati in un'altra patria, se siamo «all'estero», voi lo sapete che alla frontiera bisogna presentare dei passaporti... poi c'è la rivista dei bagagli e poi c'è il cambio della valuta... e tutte le altre pratiche che voi ben sapete. Lasciate, o miei cari fratelli, che io prenda da queste quasi volgari immagini i motivi di una breve riflessione, che forse, appunto perché molto semplice, può anche essere molto utile. Io ricordo che tanti anni fa, proprio da questa soglia, mentre passava il treno, ho paragonato... ho paragonato la morte o il trapasso a un viaggio e ho parlato di un biglietto, uno strano biglietto che non si sa come pagare, uno strano biglietto che nessuno vuole, ma che, a un certo momento, ce lo troviamo in tasca, e all'improvviso e inesorabile; e non c'è nessuno che può dire di no, perché è qui la tragedia, o miei cari fratelli, la tragedia della nostra impotenza di non poter dire di no alla cosa più decisiva della nostra vita. Continuando nell'immagine, io incomincerò a domandarmi: «Mi presento». Siamo arrivati alla frontiera dell'altro mondo. Forse domani guaioleremo nel bagaglio, forse domani o posdomani, perché torniamo qui tre giorni di seguito,18 proveremo anche a vedere i documenti, il passaporto per questo altro mondo che non conosciamo. Lasciate che in questo momento io mi presenti all'ufficio del cambiavalute. La mia moneta di quaggiù, la mia moneta d'Italia, quando vado in Francia, in Germania, in Inghilterra, in America, non vale, bisogna fare il cambio. C'è qualche cosa che non è accettato di là, ci sono delle monete che nessuno vuole di là, anche se sono stimate, perché ricordatevi che le monete hanno sempre un discreto valore, all'infuori dei giorni, dolorosi per tutti, della svalutazione. Ma nel cambio, siccome ci dev'essere una lingua che serve, così ci dev'essere una moneta che vale. E quali sono, qual è la moneta, o miei cari fratelli, che vale? È tutto qui, miei cari, il segreto di questa voce, che misteriosamente, in questo momento, a noi raccolti sul nostro cimitero alla vigilia del giorno dei morti, parìa nel mio animo e parla nel vostro animo. Qual è la moneta? Ecco, c'è una sola cosa che non si compera, miei cari fratelli: la vita eterna. Del resto, ed è quasi banale il ricordarlo, gli uomini credono di comperare tutto: l'onore, la libertà, la coscienza, l'onestà, la rettitudine... e qualche volta anche i posti di responsabilità. C'è una cosa sola che non si può comperare: il giudizio di Dio, o miei cari fratelli. Qualcheduno di voi ha giustamente nell'animo la rivolta per C^ 
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18 Nel 1957, infatti, a differenza degli altri anni nei quali se ne tenevano due,  vi furono tre momenti al cimitero: oltre a quelli del pomeriggio del giorno dei santi e del pomeriggio della memoria dei morti, ci fu anche la «coda» della domenica 3 novembre.  I discorsi tenuti da don Mazzolari che vengono qui riportati di seguito, costituiscono, in tal modo, una trilogia, sull'unico tema della frontiera tra i due mondi, che finiva per sviluppare  una consuetudine piuttosto sentita nella sensibili-tà del parroco di Bozzolo.   Cf., ad esempio, il capi- tolo «2 novembre», in Lettere al mio parroco,  EDB, Bologna 1996 [1* edizione: La Locusta,  Vicenza 1974], 89-91. 
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 questa «comperabilità» di quaggiù, per questo commercio di coscienze e di cose, per cui, ad un certo momento, noi ci domandiamo se il denaro è l'unica chiave del mondo, l'unica potenza del mondo, perché anche attraverso il denaro si fabbricano quegli ordigni che determinano alcune volte spaventosamente sui morti la potenza degli Stati. Vedete, qui non è entrato il denaro. All'altro mondo niente vale di questo denaro che noi abbiamo messo insieme, io non so se bene o male. C'è di più, o miei cari fratelli: non valgono neanche le presentazioni che noi possiamo chiamare onorevoli, anzi, qualche volta più che soddisfacenti. Non c'è nessun titolo che conta: non c'è né un re, né un dittatore, né un sindaco, né un arciprete, né un cavaliere, né un commendatore, né un avvocato, né un ingegnere. Niente, scompaiono tutti. In quell'altro mondo, è inutile far stampare dei biglietti da visita e aggiungervi quelle piccole vanità che pare che rappresentino qualche cosa presso gli uomini e non valgono niente davanti a Dio. Nulla tiene! Queste distinzioni, ad un certo momento, quando si passa la frontiera, la frontiera da questo mondo all'altro mondo, chiamatelo come volete voi, niente tiene e voi sentite che, anche sulle lapidi, quei titoli che vengono qualche volta incisi danno un suono di tristezza immensa. Che cosa importa se uno era intelligente, se uno era arrivato molto in alto. Guardatelo, come è in basso! Guardate che non dice niente! Guardate che non può più niente! Guardate che non comanda più niente! Guardate che non ha più neanche la possibilità di dire: «Ho sete»; ed è la parola che costerebbe così poco a dirla e ci sarebbero tante anime pronte a portargli una goccia d'acqua sulle labbra. Valgono niente tutte queste cose! Incominciamo nell'altro mondo l'eguaglianza completa. E vorrei dire a qualcheduno di quelli i quali credono che la religione sconsacri quello che vi è di fondamentale nell'uomo: «Incomincio a capire che l'unica parola di eguaglianza viene pronunciata da questa religione, che guarda all'altro mondo come al momento in cui incomincia la realtà della vita, non quella fabbricata da noi, non quella fabbricata dalle nostre menzogne, dalle nostre contrattazioni, ma quella fabbricata dalla giustizia di Dio, per cui l'ultimo degli uomini vale come il primo degli uomini e si porta davanti, nella povertà completa di tutto quello che qui abbiamo creduto potesse valere, qualche cosa per l'eternità». Nessun titolo o, meglio, c'è una moneta, anzi, son due le monete che hanno diritto al trapasso. Non è quella italiana, non è quella americana... non è questione di dollari, né di rubli: contano niente, anche se ne siete carichi! Ce n'è una sola che conta: la bontà e la misericordia. E badate che questa mattina, in chiesa, ricordando i nostri santi, abbiamo parlato degli uomini buoni. Quella, vedete, è la moneta che va di là, l'unica moneta che va di là, ma non una moneta distaccata, una moneta che è portata sulle mani: non delle mani che non l'hanno guadagnata, non delle mani che se la son fatta prestare; non delle mani che l'hanno rapita, ma delle mani che l'hanno guadagnata, perché non è la bontà che va di là, è l'uomo buono che va di là, è colui che si è sforzato a mettere nella sua vita, nelle sue azioni, nei suoi sentimenti, nelle sue parole, in tutto quello che è l'espressione del vivere umano, qualche cosa della bontà. Voi capite subito le mani che hanno lavorato. Incide il lavoro, la fatica incide e incide in una maniera fisica, come il dolore incide nel cuore, come i lutti s'incidono nel cuore, tanto è vero che voi, dopo certe disfatte morali, avete i volti che sono il ritratto della sofferenza. Ebbene, che cos'è l'uomo buono? È l'uomo che si presenta alla frontiera, all'altro mondo, al giudizio di Dio con qualunque cosa di guadagnato attraverso la sua fatica quotidiana, attraverso il suo sforzo per essere buono, attraverso la rinuncia a tante cose che potevano rappresentare una soddisfazione, ma erano comperate col sacrificio della propria sofferenza. La bontà, miei cari fratelli, non c'è bisogno che sia molta. Di denari ce ne vogliono tanti, di terre ce ne vogliono tante, perché, a un certo momento, per comperare le piccole gioie della vita, non si sa mai quale quantità di ricchezza ci voglia e non ci sentiamo mai tranquillamente riparati da queste cose che noi acquistiamo. Ma di bontà ce ne vuol poca, o miei cari fratelli. Il Signore si accontenta di una briciola, si accontenta di un pensiero, si accontenta di uno sforzo, s'accontenta di un no detto in un'ora di tentazione a qualche cosa che ci poteva bruciare la coscienza e la vita. Ecco, vedete, la prima moneta che vale, il cambio che non costa! Anzi, vorrei dire che è la moneta più pregiata. Non c'è bisogno di fare degli sconti, perché, a un certo momento, entra quell'altra considerazione di valori, per cui la misericordia di Dio finisce per mettere la sua «unità». Scusatemi, lasciate che vi spieghi la parola. Io sono uno «zero», quando mi presento di là; voi, perdonatemi se facciamo l'eguaglianza, siete altrettanti «zeri», perché, di fronte a quello che il Signore ha preparato, cosa volete mai che sia la nostra povera vita, anche quando è un'espressione di sforzo verso la bontà. Ecco, sono degli «zeri», ma degli «zeri» puliti, degli «zeri» chiari, degli «zeri» pieni di sentimento, degli «zeri» che hanno sospirato verso di là, degli «zeri» pieni di speranza. E, allora, vedete, c'è «uno»... forse non ci avete mai pensato all'ufficio del Salvatore... il suo sangue, quando nel venerdì santo noi lo vediamo colare ai piedi della croce... forse non ci siamo mai domandati a che cosa serve questo prezzo della nostra redenzione. Allora, vedete, davanti all'uomo buono, di questa bontà iniziale, di questa bontà che è una briciola, di questa bontà che è uno «zero», ma è sempre, però, uno sforzo verso qualche cosa che non sia semplicemente roba di terra, roba di denaro, roba da mangiare, roba da godere... basta un sospiro e, vedete, Iddio, con le mani forate del suo Cristo, ci mette davanti «uno». Ecco, io sono uno «zero», io sono due «zeri»; voi siete come me, uno, due «zeri». C'è una mano forata, quella del Cristo, che ha tracciato davan-ti ai miei «zeri», ha tracciato davanti il valore, l'unità: «uno». Ecco, il cambio è avvenuto. Chi c'era, chi c'era lì, all'ufficio di cambio? Non l'avete riconosciuto? Non ci avete mai pensato? Forse vi siete dimenticati d'incontrarlo... Guardate che bisogna tenere delle buone relazioni con quelli che sono al di là della frontiera, all'«ufficio cambio», dove vale soltanto la bontà e la sua misericordia. Si chiama Cristo. E vorrei, o miei cari fratelli, farvi un augurio, farlo a me, farlo ai miei morti, farlo a voi e farlo a tutti i nostri morti: che, quando passeremo la frontiera... e si fa presto a passare la frontiera... l'altra sera ho visto come si fa presto a passare la frontiera... e in questo momento, nel cimitero di Castiglione, quella buona e cara creatura ascolterà questa mia parola,19 perché io sono certo che quel Cristo in cui ella credeva avrà segnato colla sua mano forata e col suo sangue, nella misericordia, che è per lei, che è per me, che è per tutti, per tutti i nostri morti, avrà segnato l'«uno», il segno che dà valore, perché è Cristo, o miei cari fratelli, è da questa croce... Ed è strano: da che non abbiamo più la chiesa,20 qui al cimitero, noi tutti gli anni portiamo la reliquia della croce di Cristo e mi pare che ci stia bene davanti ai nostri «zeri» questa reliquia, che ricorda il sangue del Cristo, che dà un valore alle piccole nostre bontà, che porteremo un giorno - e non tanto lontano, perché la vita è breve per tutti, è breve anche per voi, miei cari, giovani -, le porteremo davanti a questo «ufficio di cambio» dell'eternità, perché il Cristo, riconoscendoci col suo sangue, tracci quell'«uno», che diventa una croce e che rappresenta la certezza di un accoglimento, per cui anche il cielo plumbeo di questa sera finisce per spaccarsi e farci vedere che i nostri morti sono arrivati non soltanto oltre frontiera, ma sono arrivati nella patria. 
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19 Il Mazzolali alludeva a Vittoria Fabrizi de Biani (1887-1957), la quale, mentre si trovava ospite, come capitava spesso, nella sua canonica, morì improvvisamente la sera del 30 ottobre. Il prete cremonese ufficiò il funerale a Bozzolo, prima di accompagnarne la salma al cimitero di Castiglione del Lago, in provincia di Perugia, dove fu sepolta. Nel Diario, ad indicem, è stato inserito il fitto carteggio intrattenuto dal parroco di Bozzolo con la Fabrizi de Biani, che fu anche un'assidua collaboratrice di Adesso. 
20 La cappella che si trovava al centro del porticato di testa era stata, infatti, abbattuta per permettere il passaggio alla sezione nuova del cimitero, che necessitava di un allargamento.

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