Atto di fede

Atto di fede

Feed your fears and your faith will starve
Feed your faith and your fears will

Max Lucado

Alimenta le tue paure e la tua fede soffrirà
Alimenta la tua fede e le tue paure soffriranno


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Petr Pokorný, From the Gospel to the Gospels: History,

Petr Pokorný, From the Gospel to the Gospels: History, Theology and Impact of the Biblical Term ‘EUANGELION’. Beihefte zur Zeitschrift für die neutestamentliche Wissenschaft 195. Berlin/Boston: Walter de Gruyter, 2013. X + 237 pp. 79,95 €/$112.00. https://wheatonblog.wordpress.com/2014/01/23/review-of-petr-pokornys-from-the-gospel-to-the-gospels/

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受肉

“We don’t want God to come in deep, we want to visit with God. But God doesn’t want to visit—he wants to move in.” Christine Caine

72. L'unica speranza

72. L'unica speranza (2 novembre 1957) 

 Ieri sera abbiamo domandato perdono al Signore per non aver saputo preparare bene i nostri cari per la vita: ci siamo preoccupati di tante cose, ma ci siamo dimenticati della cosa più necessaria. Lo ha detto il Signore a una donna che aveva di questi affanni e che fino a un certo punto possono essere anche lodevoli: «Marta, tu ti affanni per troppe cose: una sola è necessaria».23 Io credo che nessuno di noi, ieri sera, abbia potuto sottrarsi a un senso di pena e di rimorso per quello che non abbiamo saputo dare ai nostri morti, in ordine alla vita eterna. Questa vita, anche quando è lunga, è sempre così breve! Quello che conta non è lo star bene quaggiù, ma è il vivere quaggiù in modo da non pregiudicare la vita eterna. Questa sera vorrei dirvi una parola ancor più vicina alla nostra responsabilità verso la vita eterna, come, cioè, dobbiamo disporre il nostro cuore e il cuore delle persone a cui vogliamo bene all'incontro con la morte. Quando non siamo riusciti ad aiutare i nostri cari a ben vivere, possiamo almeno riparare aiutando a ben morire. Sono parole che non si dicono volentieri: non si vorrebbe mai che venisse, per chi amiamo, la giornata della morte. Ci lamentiamo qualche volta del mistero che avvolge la morte, ma chi di noi avrebbe il coraggio di avere davanti agli occhi e al cuore l'ora della morte di una persona cara? Non rifiutiamo forse il giudizio dei medici anche quando questo giudizio è inesorabilmente certo? È il nostro cuore che si rifiuta di vedere morire una persona cara. Eppure, vedete, siamo tutti dei morituri e nessuno di noi sa se quest'ora è lontana o vicina. Fra tutte le morti, però, quelle improvvise sono le più brutte. Non augura-tevela e non auguratela a nessuno cui volete bene. Vediamo, sì, soffrire i nostri cari, ma abbiamo almeno la possibilità di ascoltare una parola, di raccogliere uno sguardo di cui abbiamo bisogno per alimentare la nostra povera vita. Le ultime parole dei nostri cari rappresentano una grande forza e un grande viatico per tutti, anche per coloro che, per camminare più spediti, credono di poterle dimenticare. La malattia è una cosa dolorosissima e la si vorrebbe qualche volta vedere abbreviata, perché le sofferenze dei nostri cari fanno san- 
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23* Cf. Le 10,41-42.
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guinare il cuore. Ma, d'altra parte, essa è come una specie di introduzione alla vita eterna: è un po' come il portarli, come l'avvicinarli all'eternità. Chi non ha visto morire qualcuno di casa sua, chi, in questa sera dei morti, non ha portato nella nostra chiesa l'immagine, il gemito, le ultime parole di una cara creatura? L'abbiamo vista scendere verso il tramonto, incapaci di impedire la morte. Questa è la nostra impotenza, miei cari fratelli: non sappiamo fermare la morte delle persone più care. La vediamo venire avanti la morte e non sappiamo impedirla, non possiamo chiudere la porta, siamo impotenti. Non sappiamo neanche cosa dire, sono così povere certe consolazioni! Non avete mai misurato, vicino al letto di un morente, la vanità di certe espressioni? Come suonano vuote certe parole di speranza, certe parole di inganno! L'ammalato guarda e non ci crede, scruta il nostro volto e non si illude. Egli ha il senso della morte ed è più vicino alla verità. Gli ammalati non si possono ingannare. Qualcuno ha paura di nominare Dio in certi momenti, crede di turbare la tranquillità del trapasso e chiude, invece, la porta alla speranza, al conforto, alla consolazione. Non ce n'è altra nel cuore dei nostri morenti: l'unica speranza e l'unica consolazione viene dalla religione, dalla nostra religione. L'unica speranza è nel Cristo che perdona, che diventa viatico, che sorregge la nostra debolezza nel viaggio verso l'eternità. Se voi avete scoperto un'altra maniera di consolare chi muore, di far sperare chi muore, ditemelo. L'unica maniera che avete scoperto è quella di illuderlo, di fargli credere che non morrà: e ha già la morte nel tremito della mano e voi vedete nei suoi occhi il segnale vicino! Ingannare i morenti! «Ma noi - dite - lo facciamo per pietà». Ricordatevi, o miei cari fratelli, che ci sono delle pietà criminali. Peso la parola nel dirvelo e la confermo. I morenti non sopportano l'inganno. E, poi, credete voi, o miei cari fratelli, che la presenza di un sacerdote possa turbare la tranquillità di un trapasso? Siete voi che lo immaginate, sono quei falsi familiari che chiudono le porte alla speranza, la chiudete a un povero uomo, togliendogli l'unica maniera di guardare la morte senza averne il terrore, l'unica consolazione che apre le anime alla confidenza nella misericordia di Dio. Ci sono delle morti che veramente danno il senso della raccolta intorno al letto: pregavano tutti e c'erano dei figlioli che avevano trovato una parola, che neanche il sacerdote era riuscito a trovare. Ho visto delle mamme discoprire la porta dell'eterno al proprio figliolo, il quale, fissando in volto la mamma, capiva che cosa vuol dire una morte di fede: c'è qualcuno di là, c'è un'altra mamma di là, c'è un altro papà di là, c'è qualcuno che gli vuole bene. Noi rimaniamo di qua con le nostre menzogne, il morto va al cimitero; e noi torniamo ai nostri affari, alle nostre distrazioni e i morti rimangono là, distaccati, perché, quando non c'è un raccordo con la vita eterna, quando non c'è questo legame, non vale la pena che noi ricordiamo i nostri morti. Mi sono domandato spesso: «Se uno non crede, perché va al cimitero? Che cosa va a vedere, che cosa va a trovare, cosa dice a questi poveri morti?». Ditemelo voi. Ma non sentite che in questo momento, nella nostra chiesa, i nostri morti, che ci sono così vicini, sono diventati anche la ragione della nostra consolazione e della nostra speranza? Qualche volta, negli annunci, si dice parlando di un figliolo: «È andato a trovare la sua mamma». E parlando di uno sposo: «È andato a trovare la sua sposa»; e parlando di una mamma: «Ha raggiunto di là il figliolo morto in Russia o in Africa». Vedete quale serenità e quale certezza di speranza e di vita dà la religione! Vi dico questo perché qualche volta ho l'impressione che ci sia una barriera di falsa pietà, di poco rispetto all'eterno, che c'è in ognuna delle anime che stanno preparandosi al trapasso. E non mi dite: «Ma in chiesa non ci veniva...». Sono proprio quelli che hanno dimenticato Dio per tanto tempo che hanno bisogno di ritrovarlo vicino alle soglie dell'eternità. E che morti belle non fanno certe creature lontane! Come hanno accolto il sacerdote, come hanno accolto il viatico e come stringevano la mano al sacerdote che li benediceva! È l'unica certezza, l'unica cosa ferma, questa mano di morente che prende la mano di colui che ci garantisce che di là c'è qualcuno che ci aspetta! C'è una misericordia che ci fa dimenticare tutte le colpe e nella quale un giorno ci ritroveremo con tutti coloro che siamo costretti per un momento a lasciare. Aiutare a morire! «L'ho visto morire bene! Come ha ricevuto bene il Signore! Come ha baciato il crocifisso!». Allora si capisce cosa vuol dire mani congiunte, mani legate dal rosario, mani che stringono il crocifisso, questo simbolo di sofferenza, di agonia, di sacrificio, ma anche di speranza! Volete bene ai vostri cari? Io non ne dubito: voi li amate. E allora sentite: «Quando non possiamo dar loro più nulla, quando non possono più ricevere né alimento, né consolazioni umane dalle nostre povere parole: che, come vi ho detto, suonano false, nonostante tutta la pietà che noi cerchiamo di racchiudere in esse, quando non possiamo più dar niente, abbiamo ancora la cosa più grande da dare: la speranza». Io voglio anche immaginare per un momento che voi non crediate, io voglio anche pensare che nella vostra anima ci siano dei dubbi: «Ma ci sarà poi davvero qualcuno di là? C'è un'altra vita di là?». Ebbene, se io a una persona cara morente potessi dare qualcosa anche di quello che non ho, io gliela darei, anche se dentro di me non sono in grado di afferrarla con tutta la consapevolezza. Qualche volta - e finisco, perché questo discorso non può non farvi soffrire, come fa soffrire me - io penso a certe frasi: «Ah, io son tranquillo, perché ho fatto tutto». Ho fatto tutto! Proviamo un po' a vedere che cosa avete fatto: avete fatto un consulto, l'avete portato di qua e di là, l'avete fatto vedere a una celebrità medica, avete tentato tutte le medicine. Siete consolati, avete fatto tutto. Qualche volta, se il dolore non mi trattenesse e non mi rendesse timido, avrei voglia di prendere la mano di colui che con tanta tranquillità - anche le donne ragionano a questa maniera - mi dice che ha fatto tutto e vorrei dirgli: «Guarda, aveva bisogno di speranza e l'hai chiusa fuori, aveva bisogno di consolazione e non gliel'hai data, aveva bisogno di Cristo e hai detto: "No, non c'è posto"». Abbiamo fatto tutto! Non potete, o miei cari fratelli, tranquillizzarvi in questa illusione. Tutto avete fatto, quello che non serve, quello che non conta! E qualche volta l'avete fatto anche frettolosamente e impazientemente, perché i malati finiscono per pesare. Ma non avete fatto quello che serve per l'eternità. Capisco come non si possano ricordare serenamente i nostri morti, quando non siamo stati capaci di prepararli a ben morire. Quando diciamo l'Ave Maria, che raccoglie tutta la pietà e la tenerezza verso la madre del cielo, non le diciamo: «Adesso e nell'ora della nostra morte»? Ci sono, o miei cari fratelli, delle colpe. Abbiamo mancato molto verso i nostri parenti, quando erano in vita, ma se, quando verrà l'ora estrema, potremo mettere nel loro cuore questo lievito di speranza e di disposizione verso l'eternità, essi ci benediranno. Da loro abbiamo ricevuto la vita: restituire la vita eterna vuol dire confermare un vincolo. Allora troveremo che in ogni morte, anche la più dura a portare, c'è la presenza del Cristo, che prende figura nello strazio di un povero volto, baciandolo. Dopo che l'avete preparato a morire, sentirete di baciare il volto del Signore.

71. La lingua di Caino e la lingua di abele ♦

71. La lingua di Caino e la lingua di abele ♦ (2 novembre 1957) 

  Il cattivo tempo sta disturbando il nostro secondo incontro coi nostri morti. Ma questa sera, in chiesa, non piove e i nostri morti saranno ben contenti di ritrovarci là, più tranquilli e anche più comodi, perché, in fondo, la chiesa riposa sempre e riposa più del cimitero.21 Vi dirò soltanto una breve parola in continuazione del discorso che abbiamo avviato ieri qui, sul cimitero. Abbiamo parlato di un altro mondo e abbiamo incominciato a considerare un pochino il nostro cimitero come una frontiera che ci porta di là. E bisogna passare questa frontiera! E abbiamo visto alcune condizioni, che sono poi le condizioni che gli uomini mettono, quando si passa da un paese a un altro paese, da un popolo a un altro popolo, da un mondo a un altro mondo. Ieri abbiamo parlato di una moneta che solo vale in quell'altro mondo, in cui noi cristiani crediamo siano giunti i nostri poveri morti e dove pensiamo che la misericordia di Dio ci porti quando chiuderemo la nostra giornata. E quella moneta, che viene cambiata dalla misericordia di Dio, voi la ricordate: è una sola, la bontà. Ma una bontà non distaccata dalla nostra povera vita, una bontà che si è attaccata alla nostra fatica quotidiana, alla nostra povertà, al nostro fedele dovere portato come lo può portare una povera creatura di quaggiù. E, allora, vi dicevo che il Signore misericordioso, con la sua mano forata, segna una croce, che diventa la «validità» di questo piccolo sforzo che ci prepara a potere entrare nell'altro mondo. Ma c'è un'altra condizione, o miei cari fratelli, su cui brevemente voglio richiamare la vostra attenzione, benché siate in disagio: ed è che, in quell'altro mondo, si parla anche una lingua diversa, e bisogna apprenderla, questa lingua! Voi mi domanderete che lingua si parla nell'altro mondo. Sentite, due sono i linguaggi. Dicono che sono tante le lingue degli uomini e basta che qualche volta ci spostiamo di pochi chilometri perché non riusciamo più a capire la 
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21 Alla sera, secondo la tradizione bozzolese, Mazzolari avrebbe tenuto nella chiesa di San Pietro la messa di suffragio in memoria dei morti. 
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 lingua del paese dove noi arriviamo. Ma di là c'è soltanto una lingua che tiene, o miei cari fratelli, in contrapposto alla lingua di qua. Due uomini, i due primi fratelli. Sapete come si chiamavano: Abele e Caino. Uno parlava un linguaggio, l'altro parlava un altro linguaggio; c'è il linguaggio di Abele e c'è il linguaggio di Caino. Ora, vedete, gli uomini parlano due linguaggi: non importa se uno parla l'inglese e l'altro parla francese, se l'altro parla russo, se l'altro parla italiano o cinese o indiano. Queste sono tutte delle cose di poco conto. Il linguaggio degli uomini si divide soltanto in due lingue: ci sono quelli che parlano la lingua di Abele e ci sono quelli che parlano la lingua di Caino. Ebbene, miei cari fratelli, quaggiù, purtroppo, molti di noi abbiamo imparato a parlare la lingua di Caino, che è lingua di odio, che è lingua d'insincerità, che è lingua di malevolenza, che è lingua che porta via l'onore, che porta via il buon nome, che porta via la tranquillità delle famiglie; la lingua che fa tanto male, perché si è dimenticata di questa fratellanza completa che ci lega e ci assomiglia, senza che noi lo vogliamo, un pochino a Caino. Cos'è la lingua di Abele? È il fratello che vuol bene, è il fratello che parla da fratello, che compatisce da fratello, che si avvicina da fratello, che non fa mai la voce grossa, che non grida mai, che non fa mai il prepotente, che non fa sentire il suo peso, che non minaccia mai, che non ha una parola di vendetta e una parola di odio. Questo, vedete, o miei cari fratelli, è il linguaggio di Abele. Orbene, nell'altro mondo, qual è il linguaggio che si parla? Non si parla il linguaggio di Caino. Abbiamo perduto tanto tempo, o miei cari fratelli, a imparare questa brutta lingua, che non serve per l'eternità e, lasciatemi dire, non serve neanche per quaggiù, perché, quando noi parliamo da Caino al fratello, voi lo sapete bene che tristezza si fa quaggiù. Quanta sofferenza è stata creata da questa maniera di parlare, da questo linguaggio che porta il triste nome di Caino! Però, vedete, anche quaggiù qualcheduno ci ha insegnato il linguaggio di Abele, anche se non lo abbiamo imparato poco bene. Il Vangelo che cos'è? Il Vangelo è la grammatica che c'insegna il parlare di Abele. Il cristianesimo che cos'è? È il libro che, aperto, ci insegna a parlare da fratello a fratello, cioè non da Caino ad Abele, perché anche Caino è un fratello, che però s'è dimenticato che Abele è il suo fratello, ma che ci insegna a parlare da Abele a Caino. Purtroppo, passiamo la nostra vita dimenticando questa lingua e, quando ci troveremo sulla soglia dell'eternità, quando varcheremo la frontiera dell'altro mondo, bisognerà, o miei cari fratelli, che il profeta ci purifichi le labbra e la lingua da questo linguaggio che abbiamo appreso quaggiù, perché proprio quest'immagine, che, forse, voi non capite bene, è tolta da un'invocazione che il sacerdote fa prima di leggere il Vangelo: bacia l'altare e domanda a Dio che gli purifichi, come ha fatto al profeta, le sue labbra e la sua lingua, perché siano degne di potere ripetere le parole che il Signore ci ha insegnato.22 Ebbene, miei cari fratelli, la lingua dell'altro mondo, quella lingua che dobbiamo incominciare a imparare da quaggiù, se vogliamo arrivare nella condizione di potere intendere quel mondo e di poter essere ammessi a quel mondo, è proprio la lingua di Abele, che è la lingua della pazienza, che è la lingua della sopportazione, che è la lingua che addolcisce, che è la lingua che non grida, che è la lingua che non calunnia, che è la lingua che dice la verità, che è la lingua che sa anche dire le parole confortevoli nelle ore dolorose a chiunque, anche al fratello che ci ha fatto del male. È la lingua che sa trovare la parola di perdono in qualsiasi momento della vita. Miei cari fratelli, io vorrei che domandassimo ai nostri morti come si apprende questa lingua, chi ce lo insegna questo linguaggio di Abele, che è la lingua del paradiso, di quell'altro mondo a cui bisogna, o miei cari fratelli, che ci prepariamo, se vogliamo veramente diventare i cittadini di quel Regno, che ci ritroverà un pochino meno dispersi e un pochino più uniti e soprattutto un pochino più fratelli. Domandatelo ai vostri morti che lingua parlano di là. Provate. Non bestemmiano più di là, non imprecano più di là, non minacciano più di là, non ci sono più propositi vendicativi, non c'è più nessuno che parli il linguaggio del dolo e della menzogna. Domandiamo ai nostri morti, e non faremo fatica, o miei cari fratelli, ad apprendere questo linguaggio, perché, dopo averla domandata ai nostri morti la chiave di questa grammatica nuova, che il Signore ha portato in questa terra e che noi forse non abbiamo neppure aperta, noi che andiamo a scuola a imparare tante cose che servono per un breve momento, io credo, che, dopo che i morti ci hanno insegnato qual è la lingua di là, non faremo fatica. E, se questa sera tornerete alla messa dei morti nella nostra chiesa, sentirete come è il linguaggio che si parla in paradiso: è il linguaggio di ogni nostra preghiera, che è una preghiera di invocazione, di misericordia e di bontà, è il linguaggio di coloro che si vogliono bene, perché in paradiso finiremo per volerci male e ci vorremo bene per sempre. 
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22 Prima di leggere il Vangelo, il presbitero, dal centro dell'altare, recitava a mani giunte: «Monda-mi il cuore e le labbra, o Dio onnipotente, che mon-dasti le labbra del profeta Isaia; così nella tua benevola misericordia purifica me, affinché possa degnamente annunziare il tuo santo Vangelo»,'invocazione era ispirata a Is 6,4-6.

70. La moneta per l'aldilà ♦

70. La moneta per l'aldilà ♦ (1° novembre 1957)17 

 PRIMO MAZZOLARI, Discorsi, EDB, 2006, pp.385ss 

 Miei cari bozzolesi, questa mattina a due giovani, che facevano la loro richiesta di matrimonio, ho chiesto se non erano mai stati all'estero: è una delle tante domande del formulario. Mi hanno risposto di no. Se sono qui nel cimitero, io vorrei dire: «All'estero siamo». Non si chiama l'altro mondo? Quando uno muore, si dice: «È andato all'altro mondo». E, allora, miei cari fratelli, abbiamo varcato una soglia, una frontiera. Sono delle parole che forse non suonano troppo benevolmente al nostro cuore: varcare una frontiera di un mondo che non conosciamo, di un mondo che qualcheduno potrebbe anche chiedersi se veramente c'è. Io non voglio domandarmi, questa sera, miei cari fratelli, se veramente abbiamo varcato, venendo sul cimitero, la frontiera di un altro mondo. Se questo mondo c'è, che cosa rappresenta? Io vi lascio nella vostra incredulità, se ci siete, vi lascio nella vostra incertezza, se ci siete; vi lascio anche nella vostra negatività completa, se ci siete. Ognuno vede come può, ragiona come può, sente come può. Però io gli vorrei chiedere se non ha provato un brivido, entrando in quest'altro mondo, sulla soglia di questo mistero che si chiama la morte. È vero che noi non abbiamo visto niente di quest'altro mondo, è vero che noi non sappiamo niente di quest'altro mondo, se non quello che ci rivela la fede, è vero che possiamo anche dubitarne... e forse qualcheduno di voi ne dubita anche in questo momento. Però veda egli nella sua anima se veramente è tranquillo, se niente ha provato nel cuore, uno di quei brividi che, anche quando non si vogliono sentire, fanno sentire fremere l'anima, perché ricordatevi che la morte non può lasciare indifferente nessuno. Anzi, chi nega l'altro mondo e ha sentito o crede di non aver sentito nessun trapasso, varcando questa frontiera dell'altro mondo, forse fa fatica a rimanere in questo mondo di mistero più di coloro che credono. E, allora, se abbiamo varcato la frontiera di un altro mondo, se siamo arrivati in un'altra patria, se siamo «all'estero», voi lo sapete che alla frontiera bisogna presentare dei passaporti... poi c'è la rivista dei bagagli e poi c'è il cambio della valuta... e tutte le altre pratiche che voi ben sapete. Lasciate, o miei cari fratelli, che io prenda da queste quasi volgari immagini i motivi di una breve riflessione, che forse, appunto perché molto semplice, può anche essere molto utile. Io ricordo che tanti anni fa, proprio da questa soglia, mentre passava il treno, ho paragonato... ho paragonato la morte o il trapasso a un viaggio e ho parlato di un biglietto, uno strano biglietto che non si sa come pagare, uno strano biglietto che nessuno vuole, ma che, a un certo momento, ce lo troviamo in tasca, e all'improvviso e inesorabile; e non c'è nessuno che può dire di no, perché è qui la tragedia, o miei cari fratelli, la tragedia della nostra impotenza di non poter dire di no alla cosa più decisiva della nostra vita. Continuando nell'immagine, io incomincerò a domandarmi: «Mi presento». Siamo arrivati alla frontiera dell'altro mondo. Forse domani guaioleremo nel bagaglio, forse domani o posdomani, perché torniamo qui tre giorni di seguito,18 proveremo anche a vedere i documenti, il passaporto per questo altro mondo che non conosciamo. Lasciate che in questo momento io mi presenti all'ufficio del cambiavalute. La mia moneta di quaggiù, la mia moneta d'Italia, quando vado in Francia, in Germania, in Inghilterra, in America, non vale, bisogna fare il cambio. C'è qualche cosa che non è accettato di là, ci sono delle monete che nessuno vuole di là, anche se sono stimate, perché ricordatevi che le monete hanno sempre un discreto valore, all'infuori dei giorni, dolorosi per tutti, della svalutazione. Ma nel cambio, siccome ci dev'essere una lingua che serve, così ci dev'essere una moneta che vale. E quali sono, qual è la moneta, o miei cari fratelli, che vale? È tutto qui, miei cari, il segreto di questa voce, che misteriosamente, in questo momento, a noi raccolti sul nostro cimitero alla vigilia del giorno dei morti, parìa nel mio animo e parla nel vostro animo. Qual è la moneta? Ecco, c'è una sola cosa che non si compera, miei cari fratelli: la vita eterna. Del resto, ed è quasi banale il ricordarlo, gli uomini credono di comperare tutto: l'onore, la libertà, la coscienza, l'onestà, la rettitudine... e qualche volta anche i posti di responsabilità. C'è una cosa sola che non si può comperare: il giudizio di Dio, o miei cari fratelli. Qualcheduno di voi ha giustamente nell'animo la rivolta per C^ 
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18 Nel 1957, infatti, a differenza degli altri anni nei quali se ne tenevano due,  vi furono tre momenti al cimitero: oltre a quelli del pomeriggio del giorno dei santi e del pomeriggio della memoria dei morti, ci fu anche la «coda» della domenica 3 novembre.  I discorsi tenuti da don Mazzolari che vengono qui riportati di seguito, costituiscono, in tal modo, una trilogia, sull'unico tema della frontiera tra i due mondi, che finiva per sviluppare  una consuetudine piuttosto sentita nella sensibili-tà del parroco di Bozzolo.   Cf., ad esempio, il capi- tolo «2 novembre», in Lettere al mio parroco,  EDB, Bologna 1996 [1* edizione: La Locusta,  Vicenza 1974], 89-91. 
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 questa «comperabilità» di quaggiù, per questo commercio di coscienze e di cose, per cui, ad un certo momento, noi ci domandiamo se il denaro è l'unica chiave del mondo, l'unica potenza del mondo, perché anche attraverso il denaro si fabbricano quegli ordigni che determinano alcune volte spaventosamente sui morti la potenza degli Stati. Vedete, qui non è entrato il denaro. All'altro mondo niente vale di questo denaro che noi abbiamo messo insieme, io non so se bene o male. C'è di più, o miei cari fratelli: non valgono neanche le presentazioni che noi possiamo chiamare onorevoli, anzi, qualche volta più che soddisfacenti. Non c'è nessun titolo che conta: non c'è né un re, né un dittatore, né un sindaco, né un arciprete, né un cavaliere, né un commendatore, né un avvocato, né un ingegnere. Niente, scompaiono tutti. In quell'altro mondo, è inutile far stampare dei biglietti da visita e aggiungervi quelle piccole vanità che pare che rappresentino qualche cosa presso gli uomini e non valgono niente davanti a Dio. Nulla tiene! Queste distinzioni, ad un certo momento, quando si passa la frontiera, la frontiera da questo mondo all'altro mondo, chiamatelo come volete voi, niente tiene e voi sentite che, anche sulle lapidi, quei titoli che vengono qualche volta incisi danno un suono di tristezza immensa. Che cosa importa se uno era intelligente, se uno era arrivato molto in alto. Guardatelo, come è in basso! Guardate che non dice niente! Guardate che non può più niente! Guardate che non comanda più niente! Guardate che non ha più neanche la possibilità di dire: «Ho sete»; ed è la parola che costerebbe così poco a dirla e ci sarebbero tante anime pronte a portargli una goccia d'acqua sulle labbra. Valgono niente tutte queste cose! Incominciamo nell'altro mondo l'eguaglianza completa. E vorrei dire a qualcheduno di quelli i quali credono che la religione sconsacri quello che vi è di fondamentale nell'uomo: «Incomincio a capire che l'unica parola di eguaglianza viene pronunciata da questa religione, che guarda all'altro mondo come al momento in cui incomincia la realtà della vita, non quella fabbricata da noi, non quella fabbricata dalle nostre menzogne, dalle nostre contrattazioni, ma quella fabbricata dalla giustizia di Dio, per cui l'ultimo degli uomini vale come il primo degli uomini e si porta davanti, nella povertà completa di tutto quello che qui abbiamo creduto potesse valere, qualche cosa per l'eternità». Nessun titolo o, meglio, c'è una moneta, anzi, son due le monete che hanno diritto al trapasso. Non è quella italiana, non è quella americana... non è questione di dollari, né di rubli: contano niente, anche se ne siete carichi! Ce n'è una sola che conta: la bontà e la misericordia. E badate che questa mattina, in chiesa, ricordando i nostri santi, abbiamo parlato degli uomini buoni. Quella, vedete, è la moneta che va di là, l'unica moneta che va di là, ma non una moneta distaccata, una moneta che è portata sulle mani: non delle mani che non l'hanno guadagnata, non delle mani che se la son fatta prestare; non delle mani che l'hanno rapita, ma delle mani che l'hanno guadagnata, perché non è la bontà che va di là, è l'uomo buono che va di là, è colui che si è sforzato a mettere nella sua vita, nelle sue azioni, nei suoi sentimenti, nelle sue parole, in tutto quello che è l'espressione del vivere umano, qualche cosa della bontà. Voi capite subito le mani che hanno lavorato. Incide il lavoro, la fatica incide e incide in una maniera fisica, come il dolore incide nel cuore, come i lutti s'incidono nel cuore, tanto è vero che voi, dopo certe disfatte morali, avete i volti che sono il ritratto della sofferenza. Ebbene, che cos'è l'uomo buono? È l'uomo che si presenta alla frontiera, all'altro mondo, al giudizio di Dio con qualunque cosa di guadagnato attraverso la sua fatica quotidiana, attraverso il suo sforzo per essere buono, attraverso la rinuncia a tante cose che potevano rappresentare una soddisfazione, ma erano comperate col sacrificio della propria sofferenza. La bontà, miei cari fratelli, non c'è bisogno che sia molta. Di denari ce ne vogliono tanti, di terre ce ne vogliono tante, perché, a un certo momento, per comperare le piccole gioie della vita, non si sa mai quale quantità di ricchezza ci voglia e non ci sentiamo mai tranquillamente riparati da queste cose che noi acquistiamo. Ma di bontà ce ne vuol poca, o miei cari fratelli. Il Signore si accontenta di una briciola, si accontenta di un pensiero, si accontenta di uno sforzo, s'accontenta di un no detto in un'ora di tentazione a qualche cosa che ci poteva bruciare la coscienza e la vita. Ecco, vedete, la prima moneta che vale, il cambio che non costa! Anzi, vorrei dire che è la moneta più pregiata. Non c'è bisogno di fare degli sconti, perché, a un certo momento, entra quell'altra considerazione di valori, per cui la misericordia di Dio finisce per mettere la sua «unità». Scusatemi, lasciate che vi spieghi la parola. Io sono uno «zero», quando mi presento di là; voi, perdonatemi se facciamo l'eguaglianza, siete altrettanti «zeri», perché, di fronte a quello che il Signore ha preparato, cosa volete mai che sia la nostra povera vita, anche quando è un'espressione di sforzo verso la bontà. Ecco, sono degli «zeri», ma degli «zeri» puliti, degli «zeri» chiari, degli «zeri» pieni di sentimento, degli «zeri» che hanno sospirato verso di là, degli «zeri» pieni di speranza. E, allora, vedete, c'è «uno»... forse non ci avete mai pensato all'ufficio del Salvatore... il suo sangue, quando nel venerdì santo noi lo vediamo colare ai piedi della croce... forse non ci siamo mai domandati a che cosa serve questo prezzo della nostra redenzione. Allora, vedete, davanti all'uomo buono, di questa bontà iniziale, di questa bontà che è una briciola, di questa bontà che è uno «zero», ma è sempre, però, uno sforzo verso qualche cosa che non sia semplicemente roba di terra, roba di denaro, roba da mangiare, roba da godere... basta un sospiro e, vedete, Iddio, con le mani forate del suo Cristo, ci mette davanti «uno». Ecco, io sono uno «zero», io sono due «zeri»; voi siete come me, uno, due «zeri». C'è una mano forata, quella del Cristo, che ha tracciato davan-ti ai miei «zeri», ha tracciato davanti il valore, l'unità: «uno». Ecco, il cambio è avvenuto. Chi c'era, chi c'era lì, all'ufficio di cambio? Non l'avete riconosciuto? Non ci avete mai pensato? Forse vi siete dimenticati d'incontrarlo... Guardate che bisogna tenere delle buone relazioni con quelli che sono al di là della frontiera, all'«ufficio cambio», dove vale soltanto la bontà e la sua misericordia. Si chiama Cristo. E vorrei, o miei cari fratelli, farvi un augurio, farlo a me, farlo ai miei morti, farlo a voi e farlo a tutti i nostri morti: che, quando passeremo la frontiera... e si fa presto a passare la frontiera... l'altra sera ho visto come si fa presto a passare la frontiera... e in questo momento, nel cimitero di Castiglione, quella buona e cara creatura ascolterà questa mia parola,19 perché io sono certo che quel Cristo in cui ella credeva avrà segnato colla sua mano forata e col suo sangue, nella misericordia, che è per lei, che è per me, che è per tutti, per tutti i nostri morti, avrà segnato l'«uno», il segno che dà valore, perché è Cristo, o miei cari fratelli, è da questa croce... Ed è strano: da che non abbiamo più la chiesa,20 qui al cimitero, noi tutti gli anni portiamo la reliquia della croce di Cristo e mi pare che ci stia bene davanti ai nostri «zeri» questa reliquia, che ricorda il sangue del Cristo, che dà un valore alle piccole nostre bontà, che porteremo un giorno - e non tanto lontano, perché la vita è breve per tutti, è breve anche per voi, miei cari, giovani -, le porteremo davanti a questo «ufficio di cambio» dell'eternità, perché il Cristo, riconoscendoci col suo sangue, tracci quell'«uno», che diventa una croce e che rappresenta la certezza di un accoglimento, per cui anche il cielo plumbeo di questa sera finisce per spaccarsi e farci vedere che i nostri morti sono arrivati non soltanto oltre frontiera, ma sono arrivati nella patria. 
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19 Il Mazzolali alludeva a Vittoria Fabrizi de Biani (1887-1957), la quale, mentre si trovava ospite, come capitava spesso, nella sua canonica, morì improvvisamente la sera del 30 ottobre. Il prete cremonese ufficiò il funerale a Bozzolo, prima di accompagnarne la salma al cimitero di Castiglione del Lago, in provincia di Perugia, dove fu sepolta. Nel Diario, ad indicem, è stato inserito il fitto carteggio intrattenuto dal parroco di Bozzolo con la Fabrizi de Biani, che fu anche un'assidua collaboratrice di Adesso. 
20 La cappella che si trovava al centro del porticato di testa era stata, infatti, abbattuta per permettere il passaggio alla sezione nuova del cimitero, che necessitava di un allargamento.

Seijin (January)


聖人固有祝日  (1月)
PROPRIUM DE SANCTIS

1月25日 聖パウロの回心 祝日
マルコ16・15-18

それまではまさしく悪霊に取り付かれていたようなパウロです。キリスト教徒を迫害し殺害していたそのパウロを、本人は願ってもいないのに神が突然光で包んで回心させて、最もキリストの弟子から遠い人物を最も偉大なるキリストの使徒にしてしまう。神様ってそういう圧倒的なことをします。神にお出来にならない事は何ひとつない。

復活されたイエスを見た人々が言うことを信じなかった弟子達に対し、イエスは「全世界に行って、すべての造られたものに福音を述べ伝えなさい」と言われます。自分を信じなかった弟子達を先に信じ、信頼のうちに大きな使命をお与えになります。さらに信じる者には「しるし」までもお与えになるのです。罪深く、無力な私達を見捨てることなく、先に赦し、信じてくださる神、そして信じようとする私達のかすかな心に対し、復活されたイエスは共にいて、力を与えてくださるのです。この神の大きな愛、恵みを実感し、今日それぞれの場へと派遣されていきましょう。sese07

キリスト教が、小さな民族のイスラエル人の宗教から、僅か250年程の間に、ローマ帝国全土の宗教になったのは、教えの素晴らしさと同時に、このパウロの全く超人的と思える活動があったからです。
真にパウロ程、キリスト教の歴史に影響を及ぼした人はいないといえます。彼の数多くの手紙は、次のように訴えていると思われます。
 「みんな罪を犯しましたし、神の栄光(恵み)を奪われていますが、キリスト・イエスのあがないのわざを通して、神の恵みにより、無償で救われます」と。
 彼の素晴らしい働きも、実に神の恵みの結果と思います。その恵みとは、「私は神の子であるキリストに愛され、キリストは私のために死なれた」(ガラテヤ2・20)という徹底的な自覚であったといえましょう。
 私たちも同じように回心の道を歩み、その自覚が頂けるよう祈りましょう。
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パウロは、今日の第一朗読にあったように、タルソスに生まれた。タルソスは現在トルコにありますが、当時ローマ帝国の植民地であったので、パウロはローマ市民であった。ローマの市民権を持っていた。ローマ帝国の最大の力は軍隊でした。それで剣の力で、非常に広い帝国は、北はイギリスから南のエジプトまで、西はスペインから東のシリアまで、治められていた。パウロも若いときに剣を使っていました。回心してから、剣から執筆活動に切り替えました。キリスト教は田舎の小さな民族の宗教から、短時間で、ローマ帝国の宗教ひいては全世界の宗教と成り得たのは、パウロのおかげだと言われています。つまり、パウロの執筆活動はローマ軍を勝ち取った。パウロが、筆は剣より強いということを見せた男です。パウロは剣を持って描かれることは多いのは、こういう意味でしょう。パウロの言葉は剣のように鋭い。パウロは初めて、暴力に基づいた平和(Pax Romana)に代わって、愛に基づいた平和の可能性を示した。人類の流れを変えた人です。現在は、軍事力のほかに経済力があります。私たちは、パウロの信仰、希望、愛を受け継いで、これらに対抗できるかは、今私たちは体験しているチャレンジです。
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アルベリオーネ神父は1950年代に書いた文章(Anima e corpo per il Vangelo)の中で、聖パウロを選んだ理由についてこう書いています。「パウロ家族は、今日の世界で、聖パウロを生き、現すことを決意し、もし、聖パウロが今日生きるとすればこう生きるであろうと思うとおりに、考え、熱意を燃やし、祈り、自己の聖化に努める。聖パウロは、自分のうちにキリストご自身を現すために、神への愛と隣人への愛という二つのおきてを完全に生きた。(…)その創立であるパウロ自身が聖パウロ修道会になった。聖パウロ修道会がパウロを選んだのではなく、彼がわたしたちをえらんだのである」
また別のところで、「燃える感謝の念を使徒パウロにささげましょう。彼は修道会の真の創立者である。実際、彼が修道会の父であり、師、模範、保護者である。実に彼は見える形で、また霊的な方法で介入し、この家族になった。今、考えてみてもよく理解できないし、説明することも不可能である。」

以上のことばは、パウロ家族にとって、この祭日を祝うことの重要性を明確に表している。この祭日がわたしたちに思い起こさせる根本的なことは、「パウロ的霊性」であり、それは、わたしたちの存在と働き全体を生かす魂である。

なぜ聖パウロなのか。「聖性に卓越し、同時に使徒職の模範である聖人が望まれていた。聖パウロは、聖性と使徒職を統合して生きた人である。」彼の偉大さの秘訣はどこにあるのか。「聖パウロの偉大さの秘訣のすべては内的生活(vita interiore)にある。彼はその偉大な清貧(せいひん)の精神、勉学、深い知識、イエス・キリストへの愛、そして克己(こっき)の精神などの勝利を、内から獲得した、といえよう」。

聖パウロの祭日を祝う目的は三つである。


* 万民の使徒・博士であるパウロの偉大な教えを私たちに知らせ、記憶させ、信じさせること。
+ パウロの偉大な徳、特に神への愛、イエス・キリストへの愛、彼が持っていた人々への情熱を     模倣させ、イエス・キリストを生きさ   せること。
# 主の特別な計らいによってわたしたちに与えられたこの保護者であり、父であるパウロに対する信頼と信心を燃え立たせること。


 
1月26日 聖テモテ 聖テトス司教 祝日
ルカ10・1-9

テモテはリカオニア州(今のトルコ)のリストラ市の生まれ。父はギリシャ人でローマの役人。母オイニケはユダヤ人。47年頃パウロの第1回伝道旅行でパウロがリストラに布教した折り、テモテの家に泊まった。テモテはパウロから洗礼を受け、リストラ一帯を案内した。49年のパウロ第2回の伝道旅行でもテモテに会い、テモテは司祭に叙階され、その後はパウロの協力者として働いた。96年頃、テモテはエフェソで殉教。 テトスはシリア生まれでアンチオキアの異邦人であったと言われている。52年頃のエルサレム公会議に行き、この時からパウロの宣教の協力者であった。 テモテもテトスもパウロから個人的な暖かい手紙を受け取っており、異邦人の使徒といわれるパウロの弟子であり、よき協力者であった。

主は七十二人を御自分が行くつもりのすべての町や村に二人ずつ先に遣わされます。 主より先に私達のところに遣わされる人とは誰なのでしょう。私のうちに平和の子がいるのならその人が願う平和が私のうちにとどまり、また迎え入れるならいやされ、 神の国が近づくとあります。日々の生活において私達は平和な心で人と関わっているでしょうか。迎え入れているでしょうか。主はその人の後に来ます。私が平和な心を持たず、人を迎え入れなかったら、主は来てくださるのでしょうか。
主よ、今日 出会うあなたから派遣された人達と平和を分かち合い、神の国の到来を共に願い働くことができますように。sese07
イエスの弟子として「今、ここ」に派遣されている私達はどんな姿でしょうか。大きな財布、袋を持ちその中にお金、物、知識、名誉、地位をつめこみ、丈夫な履き物をはき、地面の冷たさ、やけどしそうな暑さ、踏むと痛い石の存在を知ることなく歩いているのではないでしょうか。福音を述べ伝え
る時イエスは何も持つなと言われます。ありのままの「私」が人々と痛みを共にしながら、ただ聖霊の力を信じ、そこにいる人の平和を祈る。その時こそ、真の糧で養われて心は満たされ、病人も癒されるのではないでしょうか。父と子と聖霊により頼み、自由な私のまま、イエスの弟子として働けますように。sese06
 

1月28日 聖トマス・アクイナス 司祭教会博士

中世キリスト教会におけるもっとも重要な哲学者、神学者、ドミニコ会士、教会博士で、その影響は今日にもおよんでいます。 「天使的博士」と呼ばれています。 ナポリの近郊の裕福な家庭に生まれ、5歳のころ当時の慣習にしたがってモンテ・カッシーノのベネディクト会修道院にあずけられました。 成長して修道士となり、いずれは修道院長か司教になることを期待されていました。

 しかし1239年にナポリ大学に送られたトマスは、1244年その地のドミニコ修道会に入会。 そして会からローマに赴(おもむ)くように命じられましたが、このとき兄に拉致(らち)され、自宅に連れ戻されました。 わが子が一介の托鉢修道士になることに母親が猛反対していたのです。 トマスは数ヶ月、自宅に軟禁されたのち、出ていくことを許されました。 家族の猛烈な反対を押し切ったトマスを、勉学のためパリにつれていったのは、ドミニコ会の第4代総会長ヨハネス・テウトニクスです。

 パリで出会ったアルベルトゥス・マグヌスに師事し、その後師とともにケルンに移りました。 ケルンに滞在中論理学に関する短い著作を2作完成させました。 その後1252年に博士号をとるため再びパリに遊学。 56-59年、69-72年の2回パリ大学神学部教授をつとめました。 74年リヨン公会議に出席の途中、ローマに近いプリヴェルノの"フォッサ・ノーヴァ (後註)”のシトー会修道院で没しました。 

 トマスは広範囲にわたる分野の著作を残していますが、なかでももっとも有名なのはカトリック教会の教義を注解した「神学大全」です。 神学を自然科学のように系統だてて説明したこのトマスの著作はすぐに高い評価を得ました。 教義に関する権威ある註釈書となり、ピウス12世(1939-1958)までの歴代教皇はこの著作を推奨し、承認を与えてきました。

 死後わずか半年で、列聖の要望がだされましたが、パリとオックスフォードの両大学から党派心にかたよった反対の声があがったため、トマスの列聖が実現したのは1323年のことでした。

 聖トマスの帰天日3月7日は、ほとんどいつも四旬節にあたるところから、記念は聖トマスの遺体がトゥルーズのドミニコ会修道院に移された(1369年)1月28日におこなわれます。 

 註:「新しい溝」という意味です。11世紀にはすでにプリヴェルノにはベネディクト会の修道院がありましたが、マラリアに汚染された湿地帯でしたので、1135年ここに入ったシトー会士が新しい排水溝をつくて健康地に改修したためにこの名がついています。



神よ私を忘れないでください
:::                            
私の神よ、私があなたを忘れても
あなたは私を忘れないでください
私があなたを見捨てても
あなたは私を見捨てないでください
私があなたから離れても
あなたは私から離れないでください
私が逃げだしても呼び戻し
反抗しても引き寄せ
倒れても起きあがらせてください


 私の神、主よ、お願いいたします
 いかなるむなしい考えによっても
 あなたから遠ざかることのない目覚めた心を
 いかなるよこしまな意向によっても
 ゆがめられることのないまっすぐな心を
 いかなる逆境にもめげず
 勇敢に立ち向かう強い心を
 いかなる卑しい情欲によっても
 打ち負かされることのない自由な心を
 主よ、私にお授けください


主よ、お願いいたします
あなたを求める意志を
あなたを見いだす希望を
あなたの望まれる生き方を
信仰をもってあなたを待ち望む堅忍を
そして、ついにあなたを所有できるとの信頼心を
主よ、この私にお与えください               

        聖トマス・アクィナス(1225-1274)

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典礼暦では今日、偉大な教会博士である聖トマス・アクィナスを記念します。トマス・アクィナスはその哲学者また神学者としてのカリスマによって、理性と信仰の調和のあるべき模範を示しています。人間精神の二つの次元である理性と信仰は、相互の出会いと対話によって完全なしかたで実現されるからです。
 聖トマスの思想によれば、人間の理性はいわば「息」をしています。つまり、理性は広く開かれた地平へと向かいます。この地平の中で、理性は自らをもっともよく経験できるのです。これに対して、人間は、物質的また経験可能な対象のみを考えるように自らを狭めるとき、人生や、自己自身、そして神に関する大きな問いに対して自らを閉ざし、貧しい者となります。
 信仰と理性の関係は、現代の西洋の支配的な文化にとって重大な問題です。そのため、愛すべきヨハネ・パウロ二世は、まさに『信仰と理性』という題の回勅を書きました。わたしも最近、レーゲンスブルク大学での講演の中で、この議論をあらためて取り上げました。
 実際、近代科学の発展は、数え切れないほどの積極的な効果をもたらしました。こうした効果は常に認めなければならないものです。しかし、同時に、経験されるものだけが本当だと考える傾向は、人間の理性を制約し、すべての人が認める恐るべき統合失調症を生み出しました。この統合失調症のために、合理主義と物質主義、最高の科学技術と抑制のない本能が共存しています。
 それゆえ、神の「ロゴス」の光と、その完全な現れ――すなわち、人となった神の子であるイエス・キリスト――に開かれた人間の理性を新たなしかたで再発見することが緊急に必要です。真正なキリスト教信仰は、自由や人間の理性をないがしろにしません。そうであれば、どうして信仰と理性が互いを恐れる必要があるでしょうか。互いに出会い、対話を行うことによって、両者はさらに優れたしかたで自らを経験できるからです。
 信仰は理性を前提し、また完成します。また理性は、信仰に照らされることによって、神や霊的な現実に関する認識へと上昇するための力を見いだします。人間の理性は、信仰の内容へと開かれることによって何も失うことはありません。それどころか、信仰は、自由に認識をもって同意されることを求めます。
 聖トマス・アクィナスは、時代に先んじた知恵をもって、当時のアラブ思想およびユダヤ思想と実り多いしかたで対決することに成功しました。こうして彼は、他の文化・宗教との対話に関する永遠に現代的な意味をもつ教師とみなされます。聖トマスは、キリスト教による理性と信仰の驚くべき総合を示すことができました。この総合は西洋文明にとって貴重な遺産です。この遺産を用いて、現代においても、東洋や南方の偉大な文化・宗教伝統と効果的なしかたで対話をすることができます。
 祈りましょう。特に学問や文化の領域で活動するキリスト信者が、自らの信仰の合理的な性格を表明し、愛に促された対話によってこの信仰をあかしすることができますように。聖トマス・アクィナスと、何よりも上智の座であるマリアの執り成しによって、この賜物を主に願い求めたいと思います。

(教皇ベネディクト十六世の2007年1月28日の「お告げの祈り」のことば カトリック中央協議会 司教協議会秘書室研究企画訳)
(2007.1.29)

年間第一 Mark 1, 21-28

年間第一 Mark 1, 21-28

イエスは、他のラビのように、他のラビの言葉を引用しながら律法を説明しませんでした。そうではなく、「わたしは、あなたがたに言います。」と権威をもって教えられたのです。福音のことばには権威があります。これを、学校の授業のようにして、知識のために聞くのであれば意味がありません。むしろ、親が子供にこれをしなさい、と言うのを聞いていくように、自分の行動を決めてしまうような言葉として受け入れていく必要があるのです。
イエスは悪の力を滅ぼすために来られたのです。この世をサタンから奪い取って、神のものに返すために来られました。イエスは、権威のあるように教えられただけではありません。実際に権威をお持ちだったのです。それで人々は驚きました。私たちは、目に見える世界が、目に見えない世界によって支配されていることを学びました。汚れた霊は、目に見えない霊の領域に属します。人々は、彼をどうすることもできなかったのですが、福音のことばには従わせるカがありました。イエスは確かに、ヨハネよりもさらに力のある方です。こうして、福音が霊の領域において現わされました。

Mark 1, 29-39

シモンのしゅうとめが、熱病からいやされました。イエスは、ことばをかけることなく、ただ手を取って起こされました。そして、彼女は彼らをもてなしたのですから、熱が完全にひいたことがわかります。こうして、イエスは、肉体、つまり肉の領域において福音を現わしてくださいました。
 人々は、汚れた霊が追い出されて、熱病がいやされたことを聞きつけて、イエスが病を治され、悪霊を追い出すことができると知りました。そして、彼らがやって来たのが夕方、日没の時であることに注目してください。ユダヤ人の暦は、一日が日没から始まります。安息日が終わってから彼らはイエスのもとに集まって来たのです。彼らは、ユダヤ人教師から教えられていました。病気をいやすことは神の禁じる「働くこと」になる、と。 したがって、彼らは、そのようなおきてや規則に縛られて、イエスに病人と悪霊につかれた者を連れて来るのを控えていたのです。イエスは、そのような規則に縛られている彼らをかわいそうに思われました。本当は、安息日の日に連れて来れば、夜遅くまで奉仕をする必要はなかったのです。でも、イエスはご自分のことはお構いなしに、彼らに仕えられました。イエスは、彼らを愛されていたのです。このように、福音は愛の行ないによって現われたのです。
 そして、再び、悪霊が、ご自分のことを話すのを禁じられています。イエスは、人々がご自分のことをどう見ているのかを気にされていました。もし、その時点で、ご自分が神の聖者、つまり神の御子であることを人々に知られたら、彼らは理解できなかったか、イエスを誤解したに違いありません。聞く相手に合わせて、ご自分のこと、つまり福音を紹介されていたのです。したがって、ここにも、人々に仕えるイエスの姿を見ることができます。 ところが、人々の心は、イエスの意図していたことから離れていきました。次に、イエスは、ご自分が奇跡を行われている自的を明確にされています。人々は、福音以外のものを求めてイエスを探していたのです。おそらく、魔術師とか、悪霊払い師のようにイエスを求めているのでしょう。しかし、イエスの願われていたのは、ただ一つ、人々が悔い改めて、福音を信じることなのです。しかし、そこから人々が離れていきました。奇跡だけを求めるようになりました。人々の心がそうなったとき、イエスは、他の村里に行くことを選ばれたのです。

Mark 1, 40-45

この出来事は、福音の自的が象徴的に示されています。 らい病人が、イエスのみもとに来ました。そして、「お心一つで、私はきよくしていただけます。」と言っています。彼は、イエスにある力と権威を認めています。つまり、彼はイエスを信じたのです。そして、彼の病がらい病であることに注目してください。らい病は、進行性の病気でした。しだいに体を蝕む病気です。神経を殺して、感覚を破壊しました。そのため、例えばストーブに手が触れても何も感じないので、二義的な災害も多かったのです。そして、当時は治癒が不能でした。だから、らい病はこのような病気だったので、律法の中では、らい病人はイスラ工ルの共同体からはずされていたのです。らい病人は、人に近づいてはならず、誰かが近づいたら、「私は汚れている。汚れている。」と叫ばなければなりません。でも彼は必死だったので、イエスに近づいたのです。次を見てください。
 イエスは、だれもが触れることのなかったらい病人にさわって、「きよくなれ。」と命じられました。ここにイエス・キリストの福音がはっきりと現われています。なぜなら、らい病は罪を指し示す型として用いられるからです。しだいに体を蝕む姿は、少しだけと思っていた罪がどんどん悪影響をもたらす姿を表しています。ヤコブは、「欲がはらむと罪を生み、罪が熟すると死を生みます(1:15)」と言っています。また、治癒不能であることは、罪がガンのように直しようのないことを示しています。ソロモンは言いました。「だれが、『私は自分の心をきよめた。私は罪からきよめられた。』と言うことができよう。(箴言20:9)」このようにして、罪は人を滅ぼします。しかし、イエスは、このらい病人に触れられました。同じように、イエスは、罪人をかわいそうに思って、その人に触れられるのです。イエスがこのらい病をきよくすることがおできになるように、どのような恐ろしい罪でも赦すことがおできになります。イエス・キリストの福音は、罪を悔い改めて、イエスを信じる者を拒まずに、豊かに赦してくださるというものです。私たちは、逆のことを考えてしまいます。自分が良い子であったら、神に近づくことができるかもしれないが、悪い子であったら神に近づくことができないと思いがちです。そうではありません。むしろ、罪を赦そうと思って待っておられるのです。罪を悔い改めて、神のみもとに来るものを、腕をいっぱいに広げて受け入れてくださるのです。

Mark 2,1-12

 今から学ぶ2章と3章では、この福富宣教がどんどん広がっているのを見ます。と同時に、この福音に反対し、福音をけなす人が現われます。つまり、福音の内容を見つつ、私たちが気をつけなければいけない、福音を妨げる要因を見ます。人々がその家に入ってきました。当時は、人々を家にもてなす習慣がありましたから、見知らぬ人が入って来てもおかしくありませんでした。 中風をわずらっている人が、4人の人にかつがれています。彼らは、多くの群衆に遮られていました。でも、失礼ではないかと思われる方法で、中風の人をイエスのみもとに連れて行きました。他の記事を見ても、イエスの奇蹟を体験する人々は、世間体や常識から出て行ってイエスに近づいています。イエスに近づいたらい病人は、自分は汚れているので人にさわってはいけませんでした。長血をわずらう女もそうですね。また、カナン人の女は、異邦人なのにイエスに近づきました。取税人ザアカイは、なんと木によじのぼってイエスを見ています。彼らに共通することは、イエスに近づくのに大胆であることです。自分の霊的な必要に関して、決して遠慮をせず、食らいつくようにしてイエスに近づいたのです。この律法学者たちは、罪が赦されたという喜ばしい知らせに難癖をつけています。確かに、その言っていることは正しいものでした。つまり、神のみしか罪を赦すことができない、というものです。人に嘘をついたり、人のものを盗んだりしても、究極的には神に対して罪を犯しているのです。さすが、律法を調べている者であり、洞察は正しいものでした。しかし、彼の態度が間違っています。理屈を言っている、つまり、批判的になり、分析をしているのです。そもそも、なぜ、彼らはそんなところにいるのでしょうか。イエスのあら探しをするためですね。イエスが言われること、イエスが行われるすべてに、悪いものを見出そうとしています。このような態度で人々に臨むとき、たとえ自分の言っていることが正しくても、福音の働きを閉ざしてしまいます。どちらが、やさしいでしょうか。罪が赦されたと言うほうがやさしいですね。なぜなら、罪が赦されたこと自体は目に見えないからです。証拠を提示する必要がありません。起きて、歩け、と言っても歩かなかったら、その人の言葉には権威がないことがわかります。つまり、「罪を赦すことを見せることはできないが、「起きなさい。」とわたしが言うことで、わたしのことばに権威があることを示そう。それで、わたしに罪を赦す権威があることを知りなさい。」と言われたかったのです。これは、私たちにとても大切なことを教えてくれます。すなわち、人間的には不可能な命令であっても、イエスの御力を信じて従うこと。そうすれば、従うのに必要なカが与えられることです。


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